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              Va bene. Prendiamoci in parola. Difendiamo con impassibilità 
              il nostro stile di vita. È la lezione che viene da Londra. 
              È l'ultimo canone politicamente corretto. Lo dice anche la 
              regina. Non si capisce bene però se si tratti di lifestyle, 
              una cosa vicina alla moda e al suo glamour; oppure di way of life, 
              una cosa vicina alla religione costituzionale americana. Se aprissimo 
              un concorso fra i lettori per definire il concetto, le risposte 
              sarebbero diverse. Infatti l'essenza del nostro stile di vita è 
              che ciascuno si fabbrica il suo stile di vita nel rispetto per quello 
              degli altri. Si chiama libertà. Cioè i parlamenti, 
              la libertà di stampa, di parola e di culto, i diritti civili 
              a tutela dei singoli e delle minoranze, le elezioni libere per formare 
              la volontà politica di maggioranza, il mercato, le libertà 
              sindacali, la libera circolazione delle merci e delle persone, il 
              carattere non confessionale della politica. 
            Però 
              tutto questo bendiddio che protegge la ricerca individuale della 
              felicità non è arrivato gratis. È costato guerre 
              calde e fredde, rivoluzioni violente e di velluto. La libertà 
              nel mondo è universale quanto ai principi, particolare quanto 
              alla realtà; ha cioè dei confini, qui c'è e 
              di là non c'è. Nel Novecento questo modo o stile di 
              vita fu messo in discussione dai fascismi e dai comunismi. Nel secolo 
              appena cominciato è messo in discussione dall'Islam, parola 
              che significa sottomissione e che allude a una trascendenza imperiosa, 
              ultimativa, legalistica, intollerante della libertà umana. 
            Chi nega 
              questo dato di fatto, chi enfatizza il pluralismo nell'Islam, il 
              moderatismo della maggioranza e il presunto carattere minoritario 
              del suo Drang nach Westen, della sua spinta esistenziale che' cozza 
              con la vita occidentale, è semplicemente un cieco o un cretino. 
              Tony Blair sabato ha dichiarato che non ci possiamo limitare a combattere 
              i metodi dei terroristi, dobbiamo anche affrontare le loro idee, 
              la loro visione del mondo, che è "evil", male. 
            In realtà 
              noi abbiamo quella cosa un po' frivola che è la visione del 
              mondo, spesso molto cinematografica, loro hanno una religione. Quella 
              religione, con le sue inaudite e tremende meraviglie, con le sue 
              bellezze profetiche, con la sua poesia e la sua architettura, con 
              il suo spirito guerriero, con i venti del suo deserto, il suo nomadismo, 
              il suo comunitarismo, le sue scuole di spiritualità e di 
              morte, i suoi fondamenti morali senza appello, senza frammentazione, 
              senza dialettica né dialogo, suscita in me, ateo devoto, 
              una non compunta ma sincera ammirazione. 
            I tutori 
              del multiculturalismo inorridiscono di fronte al divieto di suonare 
              musica, di fronte all'iconoclastia che fucila le statue del Buddha, 
              di fronte alla donna che si nasconde e si vela, di fronte ai processi 
              coranici e alle decapitazioni, di fronte al martirio di massa in 
              atto, di fronte a una legge scritta direttamente da Dio e trasmessa 
              una volta per tutte da un profeta, valida per tutti compresi gli 
              infedeli pena l'annientamento; i tutori del multiculturalismo sono 
              moderni, addirittura postmoderni, e spesso anche moralisti, laicisti, 
              dunque inorridiscono per questa visione del mondo fondata sul divino. 
              Ce l'hanno con i teocon, e che cosa c'è di più teocon 
              dell'Islam? Inorridiscono, ma accolgono. Pensano che l'occidente 
              negherebbe se stesso e diverrebbe simile all'Islam che li fa inorridire 
              se non trovasse una via per la convivenza e per una contaminazione 
              culturale con quella religione e con i suoi fondamenti.  
            Sono 
              visceralmente antireligiosi e dunque antislamici perché negano 
              che la politica abbia anche radici extrapolitiche, che la nostra 
              cultura sia figlia di concetti teologici secolarizzati, che si debba 
              vivere come se Dio esistesse, che la natura abbia qualche diritto 
              di fronte al potere della scienza e della tecnica, insomma rigettano 
              precisamente la soluzione americana, del paese che integra e omologa 
              nel segno di una religione civile; e per questa stessa ragione, 
              per vivere escludendo rigorosamente Dio e la religione, i multiculturalisti 
              europei si sottomettono al Dio degli altri, garanzia del politeismo 
              dei valori. Sono costretti a negare l'orrore che provano dentro, 
              arrivano a sospettare che i quattro shahid di Londra fossero ignari 
              e telecomandati, che il cervello gli fosse stato "lavato" 
              dai cattivi, si consolano così. 
              Pensano, altra consolazione, che la colpa sia nostra, della guerra 
              in Iraq o di altre cause storiche e sociali. Il loro problema è 
              che soltanto negando l'attualità evidente di uno scontro 
              di civiltà e di una guerra a sfondo religioso è possibile 
              evitare di interrogarsi sul senso, sul significato della nostra 
              civiltà, che diventa appunto lifestyle, leggerezza, abbandono, 
              libertà distaccata di netto dalle sue radici.Io invece non 
              inorridisco. 
            Vedo 
              in quel modo di vita, in quei comportamenti islamici ispirati a 
              un credo intensamente vissuto, radici ultramillenarie, antiche, 
              una delle manifestazioni definitive del crollo dell'occidente e 
              dell'oriente grecizzati e romanizzati: Sento perfino il fascino 
              dell'Islam, del suo percorso nella storia e nello spirito umano, 
              della sua funzione levatrice della nostra più grande cultura 
              teologica e filosofica medievale. Per questo voglio riconoscerlo 
              e respingerlo, perché è una civiltà e non una 
              spectre terrorista, perché oggi è una sfida 
              demografica, politica, ideologica e religiosa alla mia civiltà. 
            19 luglio 
              2005 
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