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              impossibile nascondersi la gravità di quanto è accaduto 
              ieri al Senato. Dopo la Camera, infatti, l’assemblea di Palazzo 
              Madama ha approvato definitivamente in prima lettura una riforma 
              della Costituzione italiana che distrugge alcuni aspetti caratterizzanti 
              dell’organizzazione dello Stato repubblicano e modifica in 
              profondità il funzionamento dei massimi organi del suo potere 
              politico nonché lo schema dei loro rapporti. 
              Il panorama delle rovine è presto descritto. Viene estesa 
              a dismisura, anche a campi delicatissimi come quello dell’istruzione 
              e della sicurezza pubblica, la capacità legiferatrice delle 
              Regioni: lo Stato centrale mantiene sì formalmente l’esercizio 
              di un potere d’interdizione, ma in misura attenuata e così 
              ambigua che l’unico risultato prevedibile è una crescita 
              esponenziale del contenzioso Stato- Regioni, già oggi ben 
              oltre il limite di guardia. Nell’ambito del potere centrale, 
              poi, la fine dell’attuale bicameralismo perfetto serve ad 
              installare un Senato di nuovo tipo — presentato come «federale» 
              ma in realtà non eletto in rappresentanza delle Regioni in 
              quanto tali, e con competenze ridotte rispetto ad una vera camera 
              politica —e una Camera dei deputati sovrastata da un primo 
              ministro eletto dal popolo ma che, in barba ad ogni logica costituzionale, 
              potrà a certe condizioni essere sfiduciato dalla stessa ed 
              avrà, insieme, il potere di scioglierla quando gli piacerà. 
              Ciò che in conclusione la riforma costituzionale realizza—per 
              giunta non subito ma, tanto per accrescere la confusione, in varie 
              tappe scaglionate nel tempo — sarà un incrocio contraddittorio 
              e micidiale di accentramento e decentramento, all’insegna 
              dell’istituzionalizzazione della paralisi e dell’apoteosi 
              del ricatto.  
              Del resto è solo per il ricatto continuo e minaccioso della 
              Lega che l’onorevole Berlusconi e la destra hanno dato il 
              via a un progetto simile. È esclusivamente, cioè, 
              per il proprio immediato tornaconto politico che il presidente del 
              Consiglio e altre forze della sua maggioranza, che al pari di lui 
              non hanno mai manifestato alcun interesse per il federalismo, e 
              anzi sono ideologicamente ai suoi antipodi come Alleanza nazionale, 
              lo hanno improvvisamente abbracciato, accettando così cinicamente 
              di mettere mano al disfacimento del Paese.  
              Perché di questo si tratta: la riforma della Costituzione 
              voluta dal governo e dalla sua maggioranza costituisce forse il 
              più grave pericolo che l’unità italiana si trova 
              a correre dopo quello terribile corso sessant’anni orsono 
              nel periodo seguito all’armistizio dell’8 settembre. 
              Mentre in misura altrettanto forte sono in pericolo la funzionalità 
              e l’efficienza della direzione politica dello Stato da un 
              lato, e dall’altro alcuni valori di fondo della nostra convivenza, 
              non più garantiti da una tutela pubblica affidabile.  
              Di fronte a questa prospettiva inquietante, non ci sembra che abbia 
              molto senso unire la nostra voce al coro di quelli che, sia pure 
              con qualche ragione, mettono sotto accusa le responsabilità 
              anche della sinistra per aver aperto la porta al disastro attuale 
              approvando, con una ristrettissima maggioranza, le modifiche del 
              Titolo V della Costituzione nella scorsa legislatura. Anche nelle 
              responsabilità c’è una gerarchia, e oggi quello 
              che appare in modo indiscutibile è il primo posto guadagnato 
              dalla destra e dal suo capo nella corsa a fare il male del Paese. 
              Per realizzare il misfatto hanno bisogno però del consenso 
              dei cittadini nel referendum confermativo da qui ad un anno o quando 
              sarà: vedremo allora se gli italiani sono davvero stanchi 
              di avere una Costituzione e una patria. 
               
              24 marzo 
              2005  
              
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