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              E da domani, che cosa farà? «Più o meno quel 
              che facevo prima. Come dice Nanni Moretti, vedrò gente, farò 
              cose». Si ricomincia da Stresa, stamattina, e così, 
              vedendo gente e facendo cose, Marco Follini incontrerà Beretta 
              di Confindustria e Cimoli di Alitalia, Testore delle Fs e Salza 
              del San Paolo. Son tutti lì per il convegno organizzato dal 
              perfetto folliniano Michele Vietti. Incontri, iniziative... Magari 
              scriverà un libro su quest’esperienza da segretario 
              di un partito che non è mai stato davvero suo. «Un 
              libro? Ma no, sarebbe triste. Il progetto è tenere il punto. 
              Ero al bivio: o tenere il punto o tenere il posto. Ho scelto il 
              primo. Quando intorno a te c’è confusione, devi scegliere 
              secondo l’istinto, non puoi programmare». Un Follini 
              istintivo è una rivelazione. «E’ così. 
              La fase confusa devi attraversarla a modo tuo». Metà 
              pomeriggio, chissà se Marco Follini si vede già nel 
              ruolo di ex, se comincerà ad analizzare le reazioni degli 
              altri. In fondo, in questi anni, dev’essersi abituato a essere 
              sempre molto lodato, corteggiato.  
            E adesso? 
              «Non ho questa curiosità antropologica, mettermi lì 
              a scrutare i comportamenti altrui, no... Non sono un attore sulla 
              scena, ansioso di vedere le reazioni del pubblico. Se proprio devo 
              pensare alla recitazione, beh l’unica cosa che mi pesa è 
              appunto recitare una parte non mia. Una volta che si è fatta 
              chiarezza, che i ruoli coincidono, basta, mi sento a mio agio. Posso 
              provare affanno fin quando sono incerto, ma quando ho preso una 
              decisione, no. Allora divento tranquillo. E’ così. 
              Capisco possa sembrare banale dire che sono sereno. Però 
              lo sono davvero».  
              Perciò, chi immaginava un Follini che molla e si rimette 
              a scrivere saggi sul Grande Centro - passato, presente e futuro 
              - ha sbagliato previsioni. Lui resta. Non più da segretario, 
              ma là sta. Gianfranco Fini, un altro che col suo partito 
              ha avuto varie e vistose fasi poco sintoniche, non ha lasciato, 
              però. E’ rimasto a guidarlo. «Nemmeno io me ne 
              vado. Mica parto per Tahiti».  
            I suoi 
              dicono che c’è un pezzo di Italia che si riconosce 
              nelle scelte e nelle opinioni di Follini. E’ a quella che 
              l’ex segretario continuerà a guardare. Anche perché 
              a gennaio si sarà in piena campagna elettorale. Con chi discuterà 
              la sua candidatura? «Mi sembra che le candidature si discutano 
              col proprio partito, no?». E i rapporti col Cavaliere, adesso? 
              «Si rassereneranno, pare di capire. Voglio uscire dal ping 
              pong. L’ho detto: non c’è nessun duello in corso 
              con Silvio Berlusconi, tutt’altro. Tantomeno un’ossessione». 
               
              Si capisce che questo genere di riflessioni non lo accompagna da 
              qualche giorno e neppure da qualche settimana. Si capisce che «il 
              gesto» l’ha metabolizzato per tempo, limandolo, lucidandolo 
              come un restauratore esperto con un mobile di pregio. «Il 
              gesto», come l’ha definito lui, le dimissioni che a 
              molti, fuori e dentro l’Udc, sembrano pretestuose. Ma come? 
              Abbiamo avuto la legge elettorale, dicono. Nella conferenza stampa 
              che conclude la direzione dell’Udc, l’ex si presenta 
              fedele a se stesso. Espone con lessico folliniano: frasi brevi, 
              soggetto, predicato, complemento oggetto. Fatte apposta per finire 
              dritte nei taccuini, senza alterazioni del cronista. Ripensare alle 
              dimissioni? «Non è che non ci abbia pensato su, in 
              questi giorni. Non sono abituato alle improvvisazioni». No, 
              certo, questo si sapeva. «Sono anche stato tormentato». 
              Tormentato, ecco, non è aggettivo da lessico folliniano e 
              infatti lo fa scivolare via, furtivo.  
            Invece 
              è da lì che si potrebbe ricominciare. Dal tormento 
              che certo dev’esserci stato, ma chissà com’è, 
              il tormento folliniano. Oppure, per l’appunto guardando al 
              futuro, si potrebbe ricominciare dalla campagna pubblicitaria che 
              l’Udc stava già preparando «ed era proprio carina» 
              giurano i fedeli. «Nel passaggio delle consegne lascerò 
              anche quello» sorride lui pensoso. Alasdhair MacGregor-Hastie, 
              direttore creativo esecutivo della Publicis, l’agenzia dello 
              slogan «Io c’entro», dice che, dovendo concentrarsi 
              sul Follini futuro, ne farebbe uno spot a metà tra la fiaba 
              e la rivisitazione del mondo di don Camillo e Peppone. Un Follini 
              portalettere, uno che dà una mano in chiesa ma è anche 
              stimato dal sindaco comunista. Chissà. Qualche volta, si 
              sa, i creativi ci azzeccano.  
            16 ottobre 
              2005 
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