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              Carabiniere 
              Bruno Massimiliano: assente. Vicebrigadiere Coletta Giuseppe: assente. 
              Tenente Ficuciello Massimo: assente. Carabiniere Trincone Alfonso: 
              assente... Ma il giorno quirinalizio della medaglia d’oro 
              al valor militare per Nicola Calipari, il 2 giugno dei Fori Imperiali 
              listati a lutto per i quattro elicotteristi morti in Iraq, dove 
              sono finiti i Caduti di Nassiriya? Che ne è di quei diciannove 
              morti nella strage del 2003?  
              «Lo so che sembra incredibile — dice Tiziana Montalto, 
              vedova del maresciallo Alfio Ragazzi —, però nessuno 
              ci ha ancora dato niente. Allora, dissero tutti che era stato un 
              massacro spaventoso, il peggiore del dopoguerra. Il giorno dopo, 
              annunciarono addirittura che li avrebbero fatti Beati. Beati! Invece 
              è passato un anno e mezzo e siamo come prima: per questi 
              eroi, perché d’eroi si tratta, non ci sono medaglie 
              d’oro, neanche d’argento. Abbiamo scritto a Ciampi. 
              Abbiamo chiesto spiegazioni. Ci hanno risposto che si tratta soltanto 
              d’un ritardo. Ma io lo so che non è un ritardo. E che 
              non ci sarà mai una medaglia d’oro al valor militare, 
              per Alfio...».  
              Martiri per nulla. Stare mesi a Nassiriya con il cuore in gola. 
              Saltare in aria su 500 chili di tritolo. Morire facendo scudo col 
              proprio corpo ad altri che si salvarono. Non basta. Sono già 
              passate due Feste della Repubblica dai kamikaze di quel 12 novembre 
              e nessuno ha deciso che tipo d’onore meritino i dodici carabinieri, 
              i cinque soldati, i due civili che tutta l’Italia pianse. 
              La burocrazia militare — spiega una fonte del ministero della 
              Difesa—è rimasta mesi impantanata in un nonsense bellico 
              che tanto somiglia al famoso Comma 22 del romanzo di Heller: si 
              può dare una medaglia al valor militare a uomini che non 
              stavano in guerra ma, secondo quanto hanno stabilito governo e Parlamento, 
              svolgevano una missione di pace? E si può conferirla a soldati 
              che muoiono quasi senza accorgersene, senza reagire all’attacco? 
               
              No, è stata la risposta, non si può: meglio liquidare 
              la faccenda con un disegno di legge apposito (che da tre mesi sonnecchia 
              in Parlamento) e proporre un’onorificenza d’altro tipo, 
              la Croce d’oro, che celebri i Caduti di Nassiriya ma non li 
              paragoni a quelli delle guerre «vere». Perché, 
              com’è noto, in Iraq non siamo in guerra e la medaglia 
              a Calipari, eroe civile decorato come un militare, è una 
              circostanza straordinaria.  
              «Io — dice Tiziana — abbraccio la famiglia Calipari. 
              Merita i più grandi onori e sta facendo la mia stessa, dolorosa 
              strada. Una medaglia o un’altra, poi, non mi restituiscono 
              Alfio. Però, che amarezza, stare così ad aspettare...». 
              Il 9 marzo, stanche d’aspettare e indignate dalle cose che 
              sentivano sulla guerriglia irachena, Tiziana e tre altre mogli— 
              Alessandra Savio, vedova del maresciallo Filippo Merlino; Sabrina 
              Brancato, vedova del maresciallo Giovanni Cavallaro; Paola Cohen 
              Gialli, vedova del carabiniere Enzo Fregosi — hanno scritto 
              una durissima lettera a Ciampi. Occasione della protesta, alcune 
              parole «improvvide e assurde» di Giuliana Sgrena, la 
              giornalista del manifesto rapita in Iraq che «ha giustificato 
              le azioni di chi ha sgozzato, sparato, messo bombe», dichiarazioni 
              con cui «i nostri congiunti sono stati uccisi una seconda 
              volta e infangati nella memoria».  
              Si sono sentite dimenticate e anche un po’ guardate con sospetto, 
              le famiglie di Nassiriya, e al Capo dello Stato — «a 
              lei e a sua moglie che ci siete stati vicini »—hanno 
              ricordato di «non conoscere ancora l’esito delle indagini 
              sull’attentato», hanno fatto presente la medaglia negata, 
              hanno chiesto di «assumersi l’onere della difesa della 
              memoria, in nome e per conto di quella Patria per servire la quale 
              i nostri familiari hanno perso la vita».  
              La lettera finora non è servita a granché, dice una 
              vedova che non ha firmato macondivide la protesta: «È 
              arrivata una breve risposta, firmata da una vicesegretaria del Quirinale, 
              che "auspica" una rapida approvazione del disegno di legge. 
              Ma nessuno ci spiega perché l’Arma dei Carabinieri 
              aveva proposto la massima onorificenza, la medaglia d’oro, 
              e non è riuscita ad averla. Molti ci sono stati vicini, sia 
              chiaro, abbiamo ricevuto anche dallo Stato e dalle Forze armate 
              un grande sostegno. E noi accettiamo la Croce d’oro, perché 
              è pur sempre un riconoscimento. Ma non è giusto che 
              si leda la dignità di chi ha lavorato mesi, e poi è 
              morto, per dare un po’ di pace agli iracheni». «Uno 
              dei nostri mariti — aggiunge un’altra vedova — 
              aveva un’emorragia interna, eppure ha scavato fra le macerie 
              per estrarre i feriti, prima di morire. Un altro s’è 
              buttato su un commilitone e l’ha salvato. È un eroismo 
              di serie B, questo?».  
              Dura sopravvivere, da allora. Sottovoce, dalle famiglie esce il 
              racconto di vite a metà: una mamma che ha un bambino di 8 
              anni in cura per disturbi neurologici, un’altra che spinge 
              su una carrozzella il figlio di 15 («passa le giornate a raccogliere 
              foto e articoli di suo papà, vuole farne un libro »)... 
               
              In più d’un caso, ricevere una medaglia d’oro 
              farebbe qualche differenza: «Per la burocrazia italiana— 
              dice una vedova —, la Croce d’oro non ha la stessa importanza 
              delle altre decorazioni. A esempio, a questi morti non potrà 
              mai essere intitolata una caserma o una scuola militare. E i nostri 
              figli, se un giorno faranno un concorso pubblico, non avranno diritto 
              ai punteggi speciali che spettano, invece, ai figli di medaglie 
              d’oro». Cose importanti, ma che importano a poche: «È 
              l’ultimo problema —a parlare è Tiziana —. 
              Il riconoscimento va a loro, i Caduti, a quello che hanno fatto. 
              Conta l’esempio che possono dare. Serve a qualcuno? In questo 
              anno e mezzo, ho sentito tante parole. Maerano soltanto parole, 
              appunto. E se ne sono volate via con il vento». 
               
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